Joaquim Ringelnatz (1883-1934) dal 1933 bandito in Germania come "artista degenerato"

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Intervista RadioCRC

“Ho letto La casa di via Palestro con un'adesione emotiva anche maggiore rispetto a quella che mi avevano suscitato Zamel e Il servo di Byron. Non credo dipenda solo dal modo in cui Buffoni si scopre autobiograficamente: ho sempre l'impressione che pronunciare «io» in scritture come questa dia loro una forza diversa rispetto ad altre forme di narrazione, non tanto perché additano una realtà vera, ma perché mettono in scena una voce più drammatica (una voce che viene da un corpo, forse, come quella di chi sale su un palco e si mette a parlare). Però questo non basta, e ci vuole una struttura. Mi è piaciuta infatti l'oscillazione fra relativa autonomia del singolo capitoletto e flusso generale (molto bella l'idea di raccontare le storie dei padri mancati; e il rapporto con il padre vero emerge con intensità). Il finale che insegue la vita che si svolge è forse uno dei tratti tipici di queste scritture dell'io: l'apologo di Gattuso però gli dà uno scatto inatteso. Forse l'unico passo che mi ha dato una lieve perplessità è il capitolo sul gesuita anziano: anche se è molto in linea con il Buffoni che tutti conosciamo, c'è forse qualcosa di un po' didascalico. Del resto, a volte la cosa più difficile è dire la verità.” Raffaele Donnarumma 

“Vi è una vis di sensualità incredibile che percorre tutti i racconti. Giunti alla fine del libro, si avrebbe voglia di leggerne ancora”. Andrea Breda Minello

“L'ho letto ieri. bello. ricco. fa male. un bellissimo libro”. Luigi Mascheroni

”In questo libro c’è la storia, ma soprattutto c'è una specie di armoniosa pietas, che non significa né perdono né rassegnazione, ma profonda comprensione delle cose e dei destini. E’ questo secondo me l'elemento centrale dell'opera, che non viene ‘detto’, ma che sta dentro le parole e dentro il ritmo della narrazione. Grazie di averlo scritto”. Fabio Pusterla

“Al di là dell'interesse per i singoli episodi (come la storia di Clara Pirani o la sequenza dei padri mancati), nella Casa di via Palestro mi piace proprio il genere: un libro in cui non s'inventa nulla, come l’autore confessa alla fine, e che però si legge come un romanzo. Quello che Siti chiama il genere autofittivo (confessando in un'occasione pubblica che è solo per la resistenza del suo editor che non sottotitola ''diario''), mi pare la strada più onesta da percorrere, in un momento di imbarbarimento delle narrazioni (che non a caso trionfano nel pop delle serie televisive) e di marginalizzazione della prosa (non parliamo della poesia). Poi quello di Siti (mi riferisco all'ultimo) è un libro che quanto più vuole invischiarsi con l'attualità tanto più risulta forzatamente inattuale - Berlusconi e le olgettine, a chi importano più - mentre il libro di Buffoni - che è anche un romanzo di storia familiare e nazionale, oltre che di biografia personale - è molto più letterario: per esempio, Buffoni scrive ''secentesco'' e Siti ''seicentesco''. Sull'omosessualità, sentivo forse il bisogno di qualche affondo in più, al di là delle palestre e di Gattuso (e del confronto col padre gesuita) e non per curiosità aneddotica, ma perché è sicuramente il tema in cui sento Buffoni più energicamente militante”. Gilda Policastro

"Franco Buffoni, con La casa di Via Palestro, ha scritto un libro che per chi vive a Gallarate è un'emozione forte e immediata. Ma anche chi non si imbatte in luoghi noti, potrà attraversare un secolo di storia italiana addensato in un lieve, doloroso e battagliero romanzo di formazione di poco più cento pagine. Questa è la casa, con il teatro aperto grazie alla generosità di operai e operaie del 1922. Ci passo davanti tutti i giorni, accompagnando mio figlio a scuola." Helena Janeczek

"In questi giorni mi ha fatto compagnia La casa di via Palestro. Mi ha commosso, mi ha fatto divertire, riflettere, ricordare. Il tono mi ha colpito - distaccato e partecipe al tempo stesso - la misura giusta di ogni vera narrazione. Di una narrazione sobria. E la misura giusta con cui guardare i se stessi che si è stati nella vita. E ora che l’ho finito mi dispiace: avrei voluto che mi facesse compagnia ancora un po’". Franca Cavagnoli

"Ho letto La casa di via Palestro in un fiato. Avevo cose urgenti da fare, ma non riuscivo a interrompere la lettura. E’ stato come un viaggio nel paese del riconoscimento, a cominciare dal ‘riflesso condizionato’ nel dribblare il principio di autorità. Finché la storia non ha preso il sopravvento, con le vittime a contendersi un brandello di vita dell’autore." Giovanna Ioli

"Ti sono grata di avermi fatto girare così profondamente la testa con le memorie a labirinto della Casa di via Palestro. Sono molto ammirata per come riesci a toccare il tuo personale e l'universale contemporaneamente, è così difficile. Crudele mille volte che ti diceva ‘raus’". Vivian Lamarque

“Ho letto con grande piacere e interesse La casa di via Palestro, rendendomi conto via via della sua diversità, finché non ho incontrato alla fine la frase ‘Dopotutto, che altro ho fatto in questo libro, se non cercare di ricostruire una verità fattuale dentro la verità emotiva dei ricordi… Che è proprio il contrario di ciò che di solito fa il memoir, inteso come genere letterario.’ Che Buffoni stesso abbia espresso così chiaramente la sensazione che mi ha guidato nella lettura conferma che ci è riuscito in pieno”. Enrico Capodaglio

"Caro Buffoni, sono un suo 'lettore per caso': ho trovato il suo La casa di via Palestro tra i volumi in vendita nella bancarella della biblioteca comunale della mia città. Semplicemente, volevo ringraziarla per il suo libro, la cui lettura mi ha inopinatamente – e dunque a fortiori – regalato alcune ore di piacere non inferiore – e scusi se è poco! - a quello procuratomi dalla circa contemporanea lettura delle Cronachette di Sciascia o da quella, suo tempore, di Libera nos a Malo di Meneghello, non senza una certa invidia per la felicità di scrittura di ognuno. La saluto e la ringrazio" Stefano Avanzini

"Ho letto La casa di Via Palestro in due giorni, finito stamattina. Avevo come l'impressione di ascoltare nel mio bar preferito un caro amico, raccontarmi la sua vita, le idiosincrasie, il conflitto col padre chissà se risolto e ne sono stato molto, molto felice. Perché quello che vedevo come un amico, un amico fraterno, un "bro" come si direbbe nel gergo mutuato dal rap, è il mio maestro, quello che di più mi ha insegnato fino a oggi, quello a cui mi riesce difficile pensare come a un amico, per la preponderante stima che nutro nei suoi confronti. Con la tua prosa leggera e incisiva mi hai condotto dove raramente gli autori italiani mi portano: al bar, a parlare a 360 gradi, in questo filò meraviglioso. Tu continui a parlarmi sempre, anche a distanza, i tuoi libri lo fanno. A libro finito ho una sensazione strana di benessere e serenità. Mi sembra di conoscerti meglio e da molto tempo. Scusa questa mail confusa ma è quanto di più sincero possa pensare oggi. È solo per dirti che ti ringrazio. Qualsiasi tuo scritto è nutrimento" Julian Zhara